Prendiamoci un tè 14 Novembre 2018
Caldo, rassicurante, accogliente. Avvolti nel plaid con la tazza ancora fumante, le gambe rannicchiate, l’autunno fuori dalla finestra.
Il rito, per noi occidentali, prevede che bisogna soffiarci su, perché c’è sempre impazienza nell’attesa, non ci appartiene.
Il colore dell’acqua piano piano si trasforma, abbondonando le nuance tenui per diventare finalmente, forte, deciso, netto.
E poi la scelta: dall’aroma alle proprietà, perché quando beviamo il tè un po’ ci vogliamo bene, e sapere che quella bevanda ci porterà dei benefici la rende ancora più preziosa.
Infatti prima di iniziare è d’uopo perdersi tra miscele e profumi; se chiudiamo gli occhi per un attimo potremmo essere in un Suq di Marrakech o in una minka giapponese, inebriati e avvolti da qualcosa di lontano ma stranamente familiare.
Anche la parte estetica ha la sua importanza, la tazza per esempio deve essere all’altezza della cerimonia, non sono concesse sbavature.
Perché in fondo questa pratica millenaria, che accomuna paesi e tradizioni lontanissime, non è solo una mera consuetudine. Assomiglia più ad una preghiera, a qualcosa di spirituale, dove tutto è sospeso, dove tutto è finalmente senza tempo.